Sulla presenza e la vita di Michelangelo a Carrara, oltreché la testimonianza di noti autori, vi è un minuzioso studio redatto dal concittadino Carlo Frediani. Secondo quanto è, da un attento esame, logicamente deducibile dal Vasari, dal Condivi (biografo più fedele del grande scultore), e da un documento conservato nell’Archivio di Stato di Lucca, si può affermare che Michelangelo venne per la prima volta a Carrara intorno al 1496 a scegliere i marmi per eseguire la celeberrima Pietà. Notizia certa della successiva venuta dello scultore in città, nel 1505, è contenuta direttamente in una lettera scritta da Michelangelo subito dopo che Papa Giulio II gli aveva assegnato il gravoso compito di scolpire il gruppo di statue per quello che avrebbe dovuto essere il suo «Deposito». La lettera dice testualmente: «... poiché il primo anno d’Julio, che m’allogò la sepoltura, stetti otto mesi a Carrara a lavorare i marmi». Fra quest’anno e il 1521, quando lo scultore annota ancora, di suo pugno, nel libro dei ricordi: «E adì nove di detto, ebbi da Domenico Boninsegni ducati duecento per andare a Carrara per detti marmi del Cardinale», le visite ed i soggiorni di Michelangelo a Carrara sono numerosi: atti notarili, lettere e citazioni varie documentano che egli, oltre a stringere relazioni d’affari non sempre andate a buon fine, aveva affittato una casa, in piazza del Duomo. Un’altra concreta notizia circa la presenza di Michelangelo in Carrara nel 1525 viene considerata l’iscrizione incisa sul noto bassorilievo dei Fantiscritti dove, fra le tante firme, si legge anche quella del Buonarroti sotto tale data. Dalle sue esperienze carraresi il grande artista, oltreché occasione per lettere spesso drammatiche (in alcune di esse si legge la descrizione di tragici incidenti sul lavoro) trasse certamente spunti ed ispirazione per le sue opere, comprese quelle poetiche: le poesie in cui parla del marmo, dei concetti in esso circoscritti e offerti all’ingegno dello scultore, che deve solo cavarli eliminando il superfluo, danno, come ha scritto un grande critico, la sensazione d’essere state composte grazie ad una diretta, lunga e sofferta «pratica delle cave».