Sulla visita del poeta a Carrara si sono date diverse versioni: quella vera, alla quale ci rifacciamo, fu fissata da Ettore Cozzani, allora giovane, sulle pagine de La Tribuna, uno dei giornali più noti del tempo. Anni ed anni dopo lo stesso Cozzani la rievocò su Aronte. Nel 1907 alle cave si preparava una «varata» eccezionale. Data l’importanza, non solo tecnica ma anche spettacolare, dell’evento, si pensò di invitare un grande scrittore perché ne traesse motivi di ispirazione. La scelta cadde su D’Annunzio. I versi su Carrara e le sue cave, scaturiti dalla circostanza, sono arcinoti: riportiamo la quartina, forse, meno ricordata:
Arce del marmo, in te rinvenni i segni
che t’impresse la forza dei Romani;
sculti al sommo adorai gli Iddii pagani;
e dissi: «O Roma nostra, ovunque regni!».
Di Carrara D’Annunzio trova modo di parlare anche nell’opera teatrale «Gioconda», facendo recitare ad un personaggio il brano che segue:
«... omissis... La sua bellezza vive in tutti i marmi. Questo sentii, con un’ansietà fatta di rammarico e di fervore, un giorno a Carrara, mentre ella m’era accanto e guardavamo discendere dall’alpe quei grandi buoi aggiogati che trascinavano già le carra dei marmi. Un aspetto della sua perfezione era chiuso per me in ciascuno di quei massi informi. Mi pareva che si partissero dai lei, verso il minerale bruto, mille faville animatrici come da una torcia scossa. Dovevamo scegliere un blocco. Ricordo: era una giornata serena. I marmi deposti risplendevano al sole come le nevi eterne. Udivamo di tratto in tratto il rombo delle mine che squarciavano le viscere alla montagna taciturna. Non dimenticherei quell’ora, anche se morissi un’altra volta... omissis...».